ACHILLE: il semidio che insegna ad amare


 

Cosa si nasconde oltre la linea che divide la società e le possibilità, il pregiudizio e la conoscenza? 

La canzone di Achille, di Madeline Miller racchiude la risposta. Ci concede lo straordinario privilegio di superare quella linea e di abbeverarci all'ambrosia insieme agli dei. 

La voce narrante è quella di Patroclo che da millenni racchiude in sé il mistero di un amore mai detto apertamente, di un sentimento che tutti abbiamo sospettato, o forse anche sperato che ci fosse. Per chi ha studiato l'Iliade, magnifica opera di Omero, sa che questo sentimento si insinua ma non è svelato, si intuisce ma non è spiegato.

Con una scrittura a dir poco meravigliosa, ricca, saporita, gustosa, (passatemi questi aggettivi, ho ragione a utilizzarli), la Miller sfata diversi miti, ovviamente non quelli dell'antica Grecia:

L' omosessualità non è sinonimo di depravazione e volgarità;  un grande guerriero non deve argomentare né con nemici, né con alleati, i suoi sentimenti; l'amore non ha una connotazione già scritta, ma il volto di chi si ama; l'Aristos Achainon (Il Pelide Achille) è un immortale e per essere tale deve seguire il suo destino, quindi essere libero delle sue scelte e vivere le conseguenze; la sua origine divina lo rende molto più umano di quanto non si pensi, incline alla rabbia, al desiderio, alla gelosia, all'orgoglio. Tutti pregiudizi, facili da sciogliere come neve al sole. La Miller lo fa egregiamente proprio perché la volgarità è assente, anzi inesistente. Possiamo percepire la passione che lega Patroclo e Achille, grazie a un uso straordinario della scrittura, delle parole, delle situazioni. (Questo lo rende a mio avviso eccezionale). 

Ci sono passaggi meravigliosi in cui è possibile avvertire persino il calore del sole sulla pelle, o il profumo del miele che è una caratteristica di Achille, la sensazione della sabbia. Siamo in grado, dopo averlo terminato, di capire quando riconoscere un capolavoro e darne atto, senza apportare critiche superflue. Non è un caso che la Miller abbia scelto questa storia per dare voce a un problema più grande, facendo affidamento sulla cultura antica da cui traiamo noi stessi la nostra attuale conoscenza. Il suo non è un giustificare, tutto il contrario. Apre i nostri occhi sempre offuscati, per dirci che se l'amore esiste non è necessario rifiutarlo o nasconderlo, poiché tale legame vive a prescindere dall'idea stessa dell'essere umano. 

Non è pensare all'amore che gli dà manifestazione, ma è l'amore che nutre le idee, le vite, il percorso e ogni singolo passo. 

Verso chi si rivolga tale sentimento è soggettivo, l'oggettivitá la si lascia ai posteri. La Miller, come tutti i grandi scrittori, ha fatto dono della sua visione e di questo io le sono grata. 

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La Canzone di Achille


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